lunedì 28 gennaio 2013

Franco La Torre a Pesaro venerdì 1 febbraio alle 21 Palazzo Gradari


Incontro pubblico presso Palazzo Gradari, Pesaro, con Franco La Torre, capolista alla Camera nella regione Marche per Rivoluzione Civile.
Figlio di Pio La Torre, sindacalista della CGIL, dirigente politico comunista, autore della legge antimafia e del reato di associazione mafiosa. Esperto in cooperazione internazionale e sviluppo sostenibile, si occupa di contrasto al crimine organizzato e alle mafie. Membro dell'ufficio di Presidenza di Libera.
Invitiamo la popolazione a partecipare numerosa.

domenica 27 gennaio 2013

Ingroia: Non si esce dalla crisi senza giustizia sociale

Una patrimoniale pensata secondo criteri di giustizia sociale, incentivi fiscali alle imprese che assumono, una seria lotta all’evasione fiscale, ai patrimoni illeciti e all’economia criminale, che sottrae alle casse dello Stato circa 120 miliardi di euro ogni anno. Questa è la sterzata che serve all’economia del Paese secondo Rivoluzione Civile, come ha raccontato Antonio Ingroia dagli studi di Servizio Pubblico: “gli strumenti per uscire dalla crisi senza scaricarla sulle fasce più deboli e per eliminare i mali storici del nostro Paese ci sono. Bisogna solo avere la volontà e il coraggio di utilizzarli”.

giovedì 24 gennaio 2013

Intervista ad Antonio Di Luca, operaio Fiom candidato di Rivoluzione Civile

La prima intervista a Di Luca
«Voglio portare in Parlamento la voce degli operai»
Intervista ad Antonio Di Luca, operaio di Pomigliano candidato con Rivoluzione civile
Operaio della Fiat di Pomigliano, iscritto alla Fiom e a Rifondazione comunista, Antonio Di Luca è stato uno dei protagonisti di questo lungo percorso che ha portato alla nascita della lista Rivoluzione civile capeggiata da Antonio Ingroia. Di Luca fin da subito ha aderito all’appello “Cambiare si può”, è stato tra i primi firmatari, e non ha esitato successivamente a sostenere il cartello elettorale dell’ex pm di Palermo, là dove invece molti degli aderenti del testo di Marco Revelli, Livio Pepino ed altri hanno manifestato perplessità e contrarietà. A lui abbiamo chiesto di raccontarci direttamente come ha vissuto tutta questa storia che ci auguriamo possa continuare con una affermazione elettorale. «Il mio essere un iscritto alla Fiom e a Rifondazione comunista è certamente parte della mia vita – dice il sindacalista – ma ora per me c’è solo Rivoluzione civile.»
Come sei arrivato a fare questa scelta?
Intanto girando l’Italia per seguire iniziative di diverso tipo. Ne ricordo una di “Sbilanciamoci”, un’altra sulla decrescita all’interno di una conferenza internazionale dedicata a questo tema, un’altra ancora di A.l.b.a.. A tutte queste iniziative ho partecipato sia come iscritto alla Fiom, sia come semplice cittadino che si interroga su determinati problemi del mondo. Questo percorso mi ha permesso di incontrare tantissime persone che mi hanno sempre invitato ad entrare in politica. Ma io ho sempre rifiutato dicendo che il mio unico interesse era fare il sindacalista.
Poi che cosa è successo?
Quando sono cominciate a venir fuori delle proposte, ho detto a tutti, dagli esponenti del Movimento arancione a Paolo Ferrero passando per Marco Revelli, che sarei stato disponibile a patto che la mia eventuale candidatura fosse stata ampiamente condivisa dal mondo che io rappresento e che vorrei rappresentare. I compagni della fabbrica che con tutte le loro istanze stanno portando avanti una battaglia di civiltà. Queste sono state le mie richieste. E la risposta più bella, pulita e trasversale è stata la scelta di designarmi come capolista dopo Ingroia giù in Campania, come anche in Basilicata, in Puglia e in Piemonte.
A questo punto ci auguriamo tutti che sia tu che gli altri/e candidati/e diveniate parlamentari perché in questi anni si è sentita molto la mancanza appunto in Parlamento di una forza politica che contrastasse sia il berlusconismo che il montismo, a parte la presenza non sufficiente però dell’Idv. Come ti senti di fronte a questo nuovo capitolo della tua vita, con un possibile incarico istituzionale in un contesto non facile?
Il mio sogno è quello di portare all’interno del Parlamento la voce del mio territorio, del Mezzogiorno martoriato, e soprattutto dei lavoratori. E queste tematiche le voglio portare lì dentro con grande forza. Personalmente voglio precisare che non mi reputo nessuno. Ma sono un rappresentante di una battaglia di civiltà che è quella di Pomigliano.
Battaglia che va ben al di là di Pomigliano stessa, vero?
Certamente. Avevamo già detto che la nostra non era solo una vertenza che nasceva in un territorio desertificato, ma rappresentava un salto di fase paradigmatico che si doveva estendere prima a tutto il gruppo Fiat e poi in tutta Italia e in tutte le pieghe della società. Queste cose, che avevamo intercettato, pretendo vengano difese anche in Parlamento. Rivoluzione civile, che ha fatto propri questi argomenti e queste battaglie, grazie alla società civile, ai partiti e a quei compagni che da sempre sono impegnati sul territorio, può diventare veramente una bella esperienza anche nelle sedi istituzionali. Permettendomi poi all’interno del Parlamento di non riscaldare solo una sedia ma di sostenere queste lotte.
Credi che questa vostra probabile presenza a Montecitorio e a Palazzo Madama possa in qualche modo condizionare su determinate tematiche altre forze politiche, penso ovviamente al Pd e soprattutto a Sel?
Io penso una cosa: sono convinto, e lo dico da delegato sindacale, da segretario, da operaio e da persona vicina ai conflitti e alla vertenze, che qui fra poco esploderà di tutto e di più. Tra chi non ha ammortizzatori sociali, tra chi si trova in una situazione di cessazione di attività, con una riforma Fornero che verrà attualizzata, si può facilmente immaginare quello che potrà succedere. Basti pensare a Pomigliano dove in tremila rischiano di trovarsi in mobilità a causa appunto della cessazione di attività che scadrà quest’anno. Tra queste migliaia di persone ci sono anche i lavoratori della ex Telecom che rappresenta un indotto di primo livello, il più importante insieme a quello della Fma. Davanti a queste cose non si può più giocare. E quando i nodi verranno al pettine e con tutte le pressioni che ci saranno, non tanto su di noi perché siamo coerenti ma sugli altri, sono convinto che queste contraddizioni esploderanno. E penso, e sottolineo penso, che molta parte del Pd, soprattutto nella base, e in particolare Sel, spingeranno verso un sostegno alle nostre battaglie sull’articolo 8, sull’articolo 18 e su tanti altri fronti. Che sono parte integrante del nostro programma. E poi voglio parlare del tema della rappresentanza sindacale perché sono stufo di essere consapevole del fatto che sono primo e che siamo stravincendo in tutte le fabbriche ma a causa di un vulnus gravissimo legato ad una interpretazione fasulla dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, io mi devo sentire escluso in quanto non firmatario di un accordo. Tutte queste cose sono carne vive della gente. Non è spread o quant’altro. Parlare di contratti, di salario, di malattia, di permessi, di ammortizzatori sociali, di rappresentanza sindacale, di Rsa, significa parlare della vita delle persone. E queste cose devono entrare una volta per tutte nell’agenda della politica. E’ stata troppo assente per molto tempo. E dobbiamo fare entrare in Parlamento, con Rivoluzione civile, anche quegli anticorpi giusti che via via sono andati scomparendo in questo Paese. Altrimenti credo che staremo ancora male per i prossimi cinquant’anni.
Vittorio Bonanni

lunedì 21 gennaio 2013

La prossima riunione di Rivoluzione Civile Urbino

La riunione settimanale di Rivoluzione Civile Urbino si terrà mercoledì 23 gennaio alle ore 18.00; appuntamento presso Circolo L'Idea, via Bramante.

Le liste di Rivoluzione Civile per la Regione Marche

Il figlio di Pio La Torre, ex segretario regionale siciliano del PCI ucciso dalla mafia nel 1982, candidato alla Camera nelle Marche per Rivoluzione Civile. In lista anche Massimo Rossi, ex sindaco di Grottammare ed ex presidente della provincia di Ascoli. Anche Urbino ha una sua rappresentanza in lista con Cristiana Nasoni di Rifondazione Comunista.
Insieme vinciamo.








SENATO


sabato 19 gennaio 2013

Per una sinistra alternativa e autonoma, non cediamo al ricatto del voto utile

Questione elettorale e ricostruzione della sinistra

Nella definizione di «impolitico» non c'è, ovviamente, nessuna volontà (né possibilità) di riferimento a Thomas Mann, il grande «impolitico» (o forse, meglio, «apolitico») degli inizi del Novecento. Molto più semplicemente la definizione è legata al dubbio, e dubbio reale, che ha colto l'autore di questa nota, relativamente alla sua capacità di comprendere davvero i nessi che legano il momento analitico al momento della sua traducibilità politica, a quell'aspetto comunemente indicato con il termine «tattica». Credo, infatti, di concordare, nella sostanza, con l'analisi di «fase ciclica» (da non confondere con l'analisi di «contingenza»), sviluppata in un periodo piuttosto lungo da autorevolissimi amici e compagni come Asor Rosa, Bevilacqua, Tronti. 
Nella contingenza attuale queste personalità si sono assai impegnate perché tutti i «progressisti» convergano i loro voti verso la coalizione imperniata sul Pd con «in pancia Vendola» (Scalfari dixit). Lo stesso giornale che ospita questi miei scritti ha fatto un'evidente scelta in tale direzione.
Quando personalità nei cui confronti si nutrono motivi assai giustificati di stima intellettuale, di condivisione analitica, fanno scelte politiche contingenti sulle quali sembra difficile concordare, credo sia giusto farsi prendere da dubbi, porsi domande. Non è possibile che lo sguardo di chi, come lo scrivente, è rimasto sempre esterno (a parte un brevissimo periodo della prima gioventù) alla pratica della politica, sia poco adatto per cogliere i criteri di priorità relativi alle necessità del momento attuale?
Ho sempre pensato che la sfera della politica abbia un largo grado di autonomia rispetto alla elaborazione teorica e culturale in genere, che non sia possibile, cioè, nessun processo di traducibilità diretta dell'una sfera nell'altra. Nello stesso tempo ho anche sempre pensato che la pur lunga ed articolata serie di mediazioni che le separa non possa contemplare una logica finale contraddittoria. Per questo, nonostante tutti i ragionevoli dubbi, le conclusioni a cui giungono i miei autorevolissimi amici e compagni non mi convincono.
1) «È necessaria un'affermazione netta delle forze progressiste e di sinistra (...) . Sarebbe un suicidio per tutte le forze che si ritengono progressiste e di sinistra disperdere le energie davanti al rischio che si costituisca al Senato una maggioranza diversa da quella della camera», così nell'appello Per l'unità dei progressisti (il manifesto 21/12/2012). Ribadisce Asor Rosa: «L'affermazione elettorale del centro sinistra di Bersani e Vendola è la condizione imprescindibile perché il percorso si avvii». Dove il percorso è quello che può portare alla formazione di una forza politica capace prima di «fronteggiare» poi «modificare» e «riconvertire in base a una diversa scelta», la «monumentale macchina dell'accumulazione» (il Manifesto 29/12/2012)
Da notare il fatto che personalità intellettuali che sul piano analitico sono state, a ragione, acutamente critiche della validità conoscitiva della terminologia «progressista», ne ripropongano l'uso come orizzonte politico di uno schieramento, una sorta di identità comune per realtà culturali e politiche assai diverse.
In questa maniera si finisce per mettere insieme due aspetti che possono agevolmente rimanere separati: a) la questione elettorale immediata, b) i percorsi di costruzione/ricostruzione di una sinistra non genericamente progressista.
È ovvio che un governo Bersani è preferibile non solo ad una qualsiasi riedizione dell'orrore berlusconiano, ma anche, nonostante tutto, ad un nuovo governo Monti. Su tale piano lo schieramento di centrosinistra si provi a cercare un qualche rapporto con la lista di «Rivoluzione civile» per evitare il «pareggio» al Senato. La scelta di tattiche elettorali per favorire un risultato più avanzato è certamente da perseguire. L'esistenza ed il rafforzamento di un'area politica e culturale del tutto autonoma rispetto al centrosinistra rimane, però, elemento fondamentale di una prospettiva di ben più lungo periodo.
2) Cito ancora Tronti ed Asor Rosa. Il Tronti che sostiene che «una sinistra che non ha il coraggio di dichiararsi erede della storia del movimento operaio non merita di esistere». L'Asor Rosa che ritiene necessaria prima un'opposizione alla «monumentale macchina dell'accumulazione», poi un processo di riconversione «in base ad una diversa scelta».
Che rapporto c'è tra il panorama analitico sotteso ad affermazioni di tal genere e l'indicazione di stringersi «a coorte» intorno al Pd? A mio parere nessuno. La relazione tra le due affermazioni suddette, invece, risulta estremamente chiara.
La storia del movimento operaio è stata moltissime cose insieme, ma ormai possiamo cogliere con tutta evidenza il significato profondo di una vicenda durata quasi due secoli. Il movimento operaio, nella molteplicità delle sue logiche organizzative, in maniera a volte consapevole a volte inconsapevole, si è manifestato come una forma della critica dell'economia politica operante nella complessa struttura dei rapporti sociali e politici. Proprio per questo ha potuto avere la funzione fondamentale di opposizione alla «monumentale macchina dell'accumulazione». Proprio per questo ha potuto, in parte, «civilizzare» le logiche maggiormente polarizzanti di alcune delle fasi di accumulazione capitalistica.
L'eredità di tale storia deve misurarsi, quindi, con le capacità che ha la dimensione analitica derivata dalla critica dell'economia politica di spiegare l'odierna fase di accumulazione, la fase del finanzcapitalismo. Ciò è necessario, ma con tutta evidenza non sufficiente. Senza i fondamentali nessi con le forme organizzative, politiche e sociali, oggi possibili, e nessi non contraddittori, il senso di quella storia è inevitabilmente perduto.
Ho davanti a me un recente libro di Piero Bevilacqua ("Il grande saccheggio. L'età del capitalismo distruttivo", Laterza, 2011). Si tratta di un testo assai interessante. Da notarsi in particolare, nella logica di questo articolo, il capitolo terzo su "I nuovi scenari del capitale". Un esempio felice e riuscito di utilizzazione della categoria marxiana della «caduta tendenziale del saggio del profitto» nell'analisi del capitalismo dei nostri tempi. Un Marx, dice Bevilacqua, che ha «la limpidezza e la presa sulla realtà di un nostro contemporaneo» (p.70). «La condizione attuale del capitalismo - argomenta l'autore - richiede trasformazioni radicali.» «Una riorganizzazione su base di massa e a scala progressivamente globale del conflitto sociale (...), mentre le forze che dovrebbero promuoverlo appaiono (...) rassegnate a gestire depressi orizzonti». (p. 82)
Se leggiamo la Carta d'intenti del Patto dei democratici e dei progressisti troviamo la conferma immediata di quali siano le forze «rassegnate a gestire depressi orizzonti». E non per il carattere volutamente «realistico» e «moderato del testo» (realismo e moderazione fanno parte della necessità politica), bensì perché l'impianto analitico sotteso al documento è l'esatto rovescio di qualsivoglia presupposto culturale che mantenga anche un timido legame con l'economia critica.
Non c'è niente di dottrinario nel ricercare una relazione (come detto con tutte le mediazioni opportune) tra il modo di pensare il rapporto economia-società e le scelte di politica economica. Senza una sostanziale condivisione dei punti cardine del pensiero economico dominante non sarebbero state possibili scelte tanto fondamentali e tanto dirimenti come la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e l'accettazione del fiscal compact.
Piero Bevilacqua, al termine di un articolo fino a quel punto del tutto condivisibile ("A grandi passi verso la Grecia", il manifesto, 06/12/2012), ci chiede di non «dare credito alla carta di intenti delle primarie del centro sinistra». Di non guardare alle «parole», bensì alla «realtà». In sostanza, a suo parere, il Pd e Sel non applicheranno quello che scrivono e dicono, pena la distruzione dell'economia e della società italiane e, dunque, anche del senso della loro presenza. Ho molti dubbi sul fatto che Pd e Sel possano condividere tale punto di vista
È vero che il mestiere di Bevilacqua e mio (quello di studiosi di storia) ci ha insegnato a leggere qualsiasi testo in «controluce», a non scambiare la «retorica» con la «prova». Nel caso specifico, però, mi pare che le «parole» e le «prove» del passato, anche assai recente, siano decisamente garanti dell'attendibilità di quel testo anche per il futuro. Ed inoltre la scelta di Giampaolo Galli e Carlo Dell'Aringa come candidati Pd di che cosa è «spia»? Galli e Dell'Aringa non sono un Calearo qualsiasi, bensì autorevoli rappresentanti tanto del livello teorico che di quello pratico dell'economia mainstream. E questo è, appunto, il nodo dell'autonomia culturale (e dunque politica) della sinistra.
Certo il tempo del «paradiso dei padroni», per dirla con Serge Halimi, mal si concilia con le retoriche dell' «assalto al cielo». Ma se non si rinuncia allo sforzo di «cercare ancora» nella critica dell'economia politica, possiamo comunque aspirare a qualcosa di diverso rispetto al «profumo di sinistra»

venerdì 18 gennaio 2013

Il programma di Rivoluzione Civile

“UNA RIVOLUZIONE CIVILE PER RICOSTRUIRE IL PAESE”
UN PROGRAMMA PER GOVERNARE L’ITALIA

Vogliamo realizzare una rivoluzione civile per attuare i principi di uguaglianza, libertà e democrazia della Costituzione repubblicana. 
Vogliamo realizzare un “nuovo corso” delle politiche economiche e sociali, a partire dal mezzogiorno, alternativo tanto all’iniquità e alla corruzione del ventennio berlusconiano, quanto alla distruzione dei diritti sociali, del lavoro e dell’ambiente che ha caratterizzato il governo Monti. 

VOGLIAMO UNA RIVOLUZIONE CIVILE:

per l’Europa dei diritti, contro l’Europa delle oligarchie economiche e finanziarie. Vogliamo un’Europa autonoma dai poteri finanziari e una riforma democratica delle sue istituzioni. Siamo contrari al Fiscal Compact che taglia di 47 miliardi l’anno per i prossimi venti anni la spesa, pesando sui lavoratori e sulle fasce deboli, distruggendo ogni diritto sociale, con la conseguenza di accentuare la crisi economica. Il debito pubblico italiano deve essere affrontato con scelte economiche eque e radicali, finalizzate allo sviluppo, partendo dall’abbattimento dell’alto tasso degli interessi pagati. Accanto al Pil deve nascere un indicatore che misuri il benessere sociale e ambientale;

per la legalità e una nuova politica antimafia che abbia come obiettivo ultimo non solo il contenimento ma l’eliminazione della mafia, che va colpita nella sua struttura finanziaria e nelle sue relazioni con gli altri poteri, a partire da quello politico. Il totale contrasto alla criminalità organizzata, alla corruzione, il ripristino del falso in bilancio e l’inserimento dei reati contro l’ambiente nel codice penale sono azioni necessarie per liberare lo sviluppo economico;

per la laicità e le libertà. Affermiamo la laicità dello Stato e il diritto all’autodeterminazione della persona umana. Siamo per una cultura che riconosca le differenze. Aborriamo il femminicidio, contrastiamo ogni forma di sessismo e siamo per la democrazia di genere. Contrastiamo l’omofobia e vogliamo il riconoscimento dei diritti civili, degli individui e delle coppie, a prescindere dal genere. Contrastiamo ogni forma di razzismo e siamo per la cittadinanza di tutti i nati in Italia e per politiche migratorie accoglienti;

per il lavoro. Non vogliamo più donne e uomini precari. Siamo per il contratto collettivo nazionale, per il ripristino dell’art. 18 e per una legge sulla rappresentanza e la democrazia nei luoghi di lavoro. Vogliamo creare occupazione attraverso investimenti in ricerca e sviluppo, politiche industriali che innovino l’apparato produttivo e la riconversione ecologica dell’economia. Vogliamo introdurre un reddito minimo per le disoccupate e i disoccupati. Vogliamo che le retribuzioni italiane aumentino a partire dal recupero del fiscal drag e dalla detassazione delle tredicesime. Vogliamo difendere la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro;

per le piccole e medie imprese, le attività artigianali e agricole. Deve partire un grande processo di rinascita del Paese, liberando le imprese dal vincolo malavitoso, dalla burocrazia soffocante. Vanno premiate fiscalmente le imprese che investono in ricerca, innovazione e creano occupazione a tempo indeterminato. Vanno valorizzate le eccellenze italiane dall’agricoltura, alla moda, al turismo, alla cultura, alla green economy;

per l’ambiente. Va cambiato l'attuale modello di sviluppo, responsabile dei cambiamenti climatici, del consumo senza limiti delle risorse, di povertà, squilibri e guerre. Va fermato il consumo del territorio, tutelando il paesaggio, archiviando progetti come la TAV in Val di Susa e il Ponte sullo Stretto di Messina. Va impedita la privatizzazione dei beni comuni, a partire dall’acqua. Va valorizzata l'agricoltura di qualità, libera da ogm, va tutelata la biodiversità e difesi i diritti degli animali. Vanno creati posti di lavoro attraverso un piano per il risparmio energetico, lo sviluppo delle rinnovabili, la messa in sicurezza del territorio, per una mobilità sostenibile che liberi l’aria delle città dallo smog; 

per l’uguaglianza e i diritti sociali. Vogliamo eliminare l’IMU sulla prima casa, estenderla agli immobili commerciali della chiesa e delle fondazioni bancarie, istituire una patrimoniale sulle grandi ricchezze. Vogliamo colpire l’evasione e alleggerire la pressione fiscale nei confronti dei redditi medio-bassi. Vogliamo rafforzare il sistema sanitario pubblico e universale ed un piano per la non-autosufficienza. Vogliamo il diritto alla casa e il recupero del patrimonio edilizio esistente. Vogliamo un tetto massimo per le pensioni d’oro e il cumulo pensionistico. Vogliamo abrogare la controriforma pensionistica della Fornero, eliminando le gravi ingiustizie generate, a partire dalla questione degli “esodati”;

per la conoscenza, la cultura, l’informazione libera. Affermiamo il valore universale della scuola, dell’università e della ricerca pubbliche. Vogliamo garantire a tutte e tutti l’accesso ai saperi, perché solo così è possibile essere cittadine e cittadini liberi e consapevoli, recuperando il valore dell’art. 9 della Costituzione, rendendo centrali formazione e ricerca. Vogliamo valorizzare il patrimonio culturale, storico e artistico. Vogliamo una riforma democratica dell’informazione e del sistema radiotelevisivo che ne spezzi la subordinazione al potere economico-finanziario. Vogliamo una legge sul conflitto di interessi e che i partiti escano dal consiglio di amministrazione della Rai. Vogliamo il libero accesso a Internet, gratuito per le giovani generazioni e la banda larga diffusa in tutto il Paese;

per la pace e il disarmo. Va ricondotta la funzione dell’esercito alla lettera e allo spirito dell’articolo 11 della Costituzione a partire dal ritiro delle truppe italiane impegnate nei teatri di guerra. Va promossa la cooperazione internazionale e l’Europa deve svolgere un’azione di pace e disarmo in particolare nell’area mediterranea. Vanno tagliate le spese militari a partire dall’acquisto dei cacciabombardieri F35;

per una nuova questione morale ed un’altra politica. Vogliamo l'incandidabilità dei condannati e di chi è rinviato a giudizio per reati gravi, finanziari e contro la pubblica amministrazione. Vogliamo eliminare i privilegi della politica, la diaria per i parlamentari, porre un tetto rigido ai compensi dei consiglieri regionali e introdurre per legge il limite di due mandati per parlamentari e consiglieri regionali. Vogliamo una nuova stagione di democrazia e partecipazione.

mercoledì 16 gennaio 2013

ANCHE A URBINO E' RIVOLUZIONE CIVILE!

Comunicato stampa Rivoluzione civile Urbino [16.01.2013]

Lunedì 14 gennaio si è costituito anche a Urbino il comitato di Rivoluzione Civile, la lista della sinistra alternativa e autonoma guidata dal Magistrato antimafia Antonio Ingroia. Il comitato riunisce rappresentanti cittadini di PRC, IDV e PDCI e numerosi esponenti della società civile e dell'associazionismo urbinate e studentesco. Tutti insieme affronteremo una campagna elettorale assai difficile, da svolgersi in tempi brevissimi, nel silenzio quasi totale dei media, ma con grande entusiasmo e volontà di partecipazione.
Tra i punti qualificanti del programma di Rivoluzione civile sottolineiamo: il no al Fiscal compact e al pareggio di bilancio in Costituzione (patti scellerati firmati in Europa dal governo Berlusconi e confermati da Monti e dai partiti che lo hanno sostenuto, la cui applicazione demolirebbe lo Stato sociale e i diritti scolpiti nella nostra Carta costituzionale); la lotta senza compromessi alla mafia, all'evasione fiscale e contro la corruzione nella pubblica amministrazione, in un Paese che ha smarrito il senso profondo della legalità; l'attenzione ad uno sviluppo economico sostenibile sia sul piano sociale che su quello ambientale; la difesa dei diritti civili e della laicità dello Stato; il sostegno ai referendum che intendono abrogare le pericolose riforme Fornero su pensioni e lavoro.
E' stato costituito un coordinamento del quale fanno parte Federico Losurdo (PRC), Massimo Fabbri (IDV), Ermanno Torrico (PdCI), Danilo Alessandroni (esponente storico dell'ambientalismo ad Urbino), Giancarlo Galletti (lavoratore Ipercoop in pensione), Valentina D'Addario (studentessa universitaria) e Claudia Pandolfi (già docente universitaria ed ex consigliercomunale a Urbino, eletta come indipendente nelle liste di Rifondazione Comunista).

Nei prossimi giorni verrà convocata un’assemblea generale di presentazione delle proposte politiche di Rivoluzione Civile aperta  alla partecipazione di tutta la cittadinanza.

Rivoluzione Civile: l'alternativa all’astensionismo, alle politiche liberiste, alla corruzione
INSIEME VINCIAMO

martedì 15 gennaio 2013

Le buone ragioni di Rivoluzione Civile



Se c’è un elemento caratteristico dell’attuale fase politica, questo è la potenza determinante del sistema mediatico. L’Italia, l’Europa, tutto il mondo capitalistico sono nella morsa di una crisi che sta scomponendo le società. Da una parte, la povertà vera. Strutturale, dilagante, senza prospettive di riscatto. Dall’altra, la concentrazione in poche mani di ricchezze immense, intraducibili in misure concrete. In mezzo, aree sociali precarizzate, che vedono messi a rischio i fondamenti stessi della propria condizione di vita: il reddito, l’occupazione, i diritti essenziali.


Ma se il quadro è di per sé limpido nella sua violenza, l’opinione pubblica non riesce a farsene un’immagine chiara, e non sa intravedere vie d’uscita. Oscilla tra angosce apocalittiche e attese fideistiche di uomini provvidenziali (si pensi alla santificazione di Monti al momento della sua incoronazione), appesa alla girandola di numeri che le viene quotidianamente propinata. Lo spread, gli indici di Borsa, i tassi di cambio, numeri magici della cabala postmoderna. Quando diciamo che il 99% è contro uno stato di cose voluto dall’1%, ci raccontiamo una favola. Bella, ma, come ogni favola, ingannevole. Di certo la stragrande maggioranza è scontenta e spaventata, ma è anche confusa e disorientata. E non sa a che santo votarsi.

La cifra del nostro tempo è questa: la cattura cognitiva dei corpi sociali, imprigionati in una gabbia – davvero un pensiero unico – che ne deforma la visuale, impedendo loro di vedere la situazione in cui si trovano. Non c’è discorso più pertinente di quello che fa Gramsci, nei primi anni Trenta, a proposito dell’«egemonia» come potente strumento di direzione politica. Nella consapevolezza – tratta appunto dalla gestione totalitaria dei mezzi d’informazione – che la produzione di un’immagine univoca della realtà e il convergente occultamento di aspetti rilevanti sono strumenti-chiave dell’organizzazione del consenso «spontaneo» e del controllo autoritario della società.

Ora chiediamoci: tale stato di cose incide nella situazione politica italiana di questi giorni? Influisce sulla campagna elettorale in vista del voto politico del 24 febbraio? Incide eccome. A tal punto che soltanto muovendo da questa premessa sembra possibile capire la posta in gioco nelle elezioni.

Proviamo a dirla così, con una semplificazione che aiuta a cogliere il punto: sotto gli occhi degli italiani viene quotidianamente squadernato un ricco catalogo di banalità utili ad accreditare l’idea che le maggiori coalizioni politiche (i tre poli, di centrosinistra, centro e centrodestra) divergano tra loro in modo significativo.

L’attenzione pubblica è deviata con cura verso questioni di dettaglio (dalle regole delle primarie all’interscambio trasformistico tra l’uno e l’altro polo), mentre si nasconde che in queste elezioni è in gioco la vita stessa – l’occupazione, il reddito, la salute, l’istruzione – di decine di milioni di cittadini. Agli italiani è così impedito di vedere l’essenziale: il fatto che tutte le maggiori forze politiche concordano sulla lettura della crisi e sulle ricette per affrontarla. E che per questa ragione esse hanno convintamente sostenuto Monti per oltre un anno, rivendicando come necessarie misure che hanno esasperato le ingiustizie (tagliando pensioni, salari e servizi), colpito diritti (l’articolo 18), depresso l’economia e aggravato la situazione debitoria del paese, senza scalfire di un millimetro rendite e grandi patrimoni (anzi, procurando loro ulteriori benefici).

Non è forse così? Del centrodestra e del Terzo polo lo sappiamo sin troppo bene. Con una mano demagogicamente deprecano le conseguenze della crisi (è necessario lisciare il pelo all’elettorato), con l’altra arraffano i dividendi delle politiche di «austerità»: l’anarchia del mercato, lo strapotere dell’impresa, la libertà di evadere o eludere il fisco, la privatizzazione delle risorse e delle istituzioni – non ultime le scuole, tanto care al Vaticano, che in queste elezioni gioca un ruolo determinante a sostegno di Monti e del fido Casini. E il centrosinistra? Diciamo le cose come stanno: non è lo stesso Bersani a ripetere, un giorno sì e l’altro pure, che austerità e rigore non si toccano, salvo farfugliare che cercherà di ridurre il tasso di iniquità delle decisioni di Monti (sino a ieri in predicato di atterrare sul Colle col suo beneplacito)? Il Pd non considera forse irrinunciabili le norme – dal pareggio di bilancio al fiscal compact – che daranno al prossimo governo, chiunque lo dirigerà, un alibi di ferro per perseverare nella macelleria sociale? Il segretario democratico non vede nel «libero mercato» la panacea per la fantomatica crescita? Non proclama che l’articolo 18 va bene così come l’ha conciato la professoressa Fornero? E non definisce con orgoglio il proprio partito come il più europeista, il che non significa soltanto Maastricht e Lisbona, ma anche Merkel, Barroso e la dittatura del debito? Quanto a Sel, la firma in calce alla carta d’intenti ha messo in mora ogni buon proposito e riduce le parole del suo leader a un fiato di voce. Sel si è impegnata a seguire le decisioni del Pd e i suoi dirigenti sanno che al dunque dovranno attenervisi. Per disciplina e «senso di responsabilità».

Insomma, il «rigore» piace a tutti, o quasi. Non piace a Grillo, ma il suo movimento vede la degenerazione finanziaria solo per massimi sistemi, senza coglierne le drammatiche ricadute sul terreno dei diritti del lavoro. Non piace soprattutto a Rivoluzione civile, che dell’anti-montismo fa la sua bandiera. E qui il discorso chiama in causa noi, la sinistra coerentemente antiliberista e per ciò stesso esterna ai tre poli della «strana maggioranza» del cosiddetto governo tecnico: partiti, sindacati, associazioni e movimenti ancora vivi ma stremati dopo cinque anni di trionfante bipolarismo coatto e di lotte combattute alla macchia, con risorse minimali e nel silenzio della «grande» informazione.

Rivoluzione civile è ad oggi la sola forza di qualche rilievo che ponga un discrimine netto: rifiuto del neoliberismo (cioè primato del lavoro e dei suoi diritti, secondo quanto prescrive la Costituzione), fine della sovranità del capitale finanziario (spesso colluso con le mafie), restituzione dello scettro alla cittadinanza. Certo, nemmeno questo progetto è immune da pecche, ma di sicuro la critica di essere subalterno alla teologia del libero mercato non può essergli rivolta. Il programma di Rivoluzione civile parla di diritti del lavoro e solidarietà; di scuola e sanità pubbliche; di lotta alle mafie e di questione morale; di laicità e parità di genere; di disarmo, di libera informazione e di difesa dell’ambiente. C’è in questo decalogo qualcosa che non va, o manca qualcosa di essenziale?

Senonché la proposta di Ingroia incontra anche a sinistra riserve e freddezza. La cosa è sorprendente, e forse per capirne le ragioni non basterebbero gli strumenti tradizionali dell’analisi politica. Limitiamoci alle obiezioni fondamentali. Basta coi magistrati in politica, si dice. E poi: Ingroia non si è sbarazzato dei partiti, è fissato con la mafia, è (o aspira a essere) anche lui un leader, nel segno della personalizzazione della politica. Tutto ciò è, francamente, paradossale. È paradossale che si accusi la magistratura di protagonismo, invece di prendersela con quei settori della «società civile» che latitano, in tutt’altre faccende affaccendati. E lo è altrettanto – degna del peggior grillismo – l’accusa di non respingere i partiti della sinistra, come se in tutti questi anni essi non avessero fatto il possibile per sostenere movimenti e lotte. Chi poi lamenta una monomania antimafia, dove crede di vivere? Forse presta fede alla rassicurante favola della «criminalità organizzata», e ignora che mezza Italia è governata da un doppio Stato che decide, ricicla, fa politica a tutti gli effetti, sequestrando la democrazia di questo paese. Soltanto l’ultima delle critiche sembra avere qualche fondamento. Ma poiché la personalizzazione della politica è un sintomo grave della transizione post-democratica in corso da un trentennio, proprio per questo non è giusto farne carico all’ultimo arrivato, né pretendere che una proposta politica appena nata vi si sottragga, rinunciando all’unico strumento in grado di darle in tempi brevi un minimo di visibilità.

Allora, cerchiamo di non guardare fissi il dito che invano indica la luna. Sono cinque anni che la sinistra italiana attende di uscire dalle catacombe. E se è certamente vero che il voto di febbraio non risolverà tutti i problemi – ché anzi il duro lavoro comincerà dopo – è altrettanto indubbio che senza un successo di Rivoluzione civile la sostanziale morte della sinistra politica in Italia sarebbe, per lungo tempo, una certezza. È singolare che tanti sembrino non capire che oggi un’esigenza prevale su tutte le altre: unire le opposizioni di sinistra contro Monti e i suoi eredi, più o meno progressisti. Far sì che tornino a pesare le ragioni del lavoro, dei giovani, delle donne e del Mezzogiorno, antitetiche a quelle di tutti coloro che hanno governato in questi decenni, nel segno della sovranità del mercato. Ora, sul filo di lana, ci si presenta una possibilità per riuscirvi. Una possibilità – l’ultima – che sarebbe davvero imperdonabile sprecare.